La musica fa parte del nostro quotidiano, andando a coinvolgere un numero di ambiti sempre maggiore, ma la forma in cui ne fruiamo non è sempre la stessa: tra la fine del ‘900 e i primi anni del nuovo millennio abbiamo infatti assistito ad un vero e proprio processo di “smaterializzazione” del supporto musicale, che a poco a poco ha lasciato il posto al web nella trasmissione e diffusione dei prodotti musicali. Addio negozio di dischi, benvenuto Spotify.
Già verso la fine degli anni ’90 la rete era in grado di trasmettere musica, e di lì a poco fu possibile scaricare brani (tutti noi ricordiamo i primi tempi alle prese con eMule), condividerli e dunque anche fruirne attraverso i cellulari.
Il nuovo millennio ha un protagonista indiscusso: il compact disc, e con esso i lettori fissi e quelli portatili, che sembravano il massimo dell’avanguardia in fatto di tecnologia musicale. Già tra il 2004 e il 2005, però, il CD verrà messo un po’ all’angolo dalla concorrenza digitale, la quale permette una maggiore facilità nella riproduzione della musica desiderata.
E’ in questi anni che si assiste ad un fenomeno che ancora oggi contraddistingue la società e soprattutto le giovani generazioni: la nascita della cosiddetta “musica liquida”, intesa come musica che si può riprodurre senza supporto fisico e che vede l’alba dapprima con il file sharing e poi attraverso lo streaming. Si considerano in questa categoria tutti quei file musicali di qualunque formato privi di un supporto solido (quindi oltre al conosciutissimo mp3 anche MPEG2, AAC,WAV, ecc.) che permettono di ridurre lo spazio occupato del 50% senza intaccare la qualità rispetto al file originale.
Oltre a portare una riduzione dello spazio e un aumento della velocità di riproduzione, la musica liquida consente al consumatore anche un abbattimento dei costi; musica, dunque, che passa dai computer alla rete arrivando a lettori portatili, smartphone o altri computer. Musica che viene acquistata e condivisa, rimanendo un’entità astratta e impalpabile.
A corollario di questo processo di smaterializzazione si sviluppano una serie di mezzi di riproduzione che rimarcano come la tecnologia digitale infranga il classico binomio servizio/piattaforma fisica. Sebbene il punto di raccordo sia ancora un PC, i dati musicali si muovono da un dispositivo all’altro decretando che non esista un mezzo di riproduzione standard delle tracce audio; inoltre le aziende produttrici di telefoni cellulari e lettori mp3 tentano di conquistare una maggiore autonomia al fine di liberarsi dal legame con il computer. In tal senso una delle svolte più significative sarà rappresentata dallo sviluppo della rete wireless per dispositivi mobili che consentirà il distacco dal definitivo PC.
Ad oggi la musica liquida è senza dubbio diventata lo strumento di ascolto preferito dalla massa, sia per la praticità che per gli indiscutibili vantaggi economici che presenta, ma cultori e appassionati del suono hanno fino ad adesso mantenuto verso di essa un atteggiamento di diffidenza, preferendo i cd nel timore che i file audio che non provengono da un supporto rigido possano essere di qualità inferiore. Ciononostante oggi, negli stessi anni in cui torna a bomba la moda del vinile, si stanno mettendo a punto tecnologie sempre più raffinate e portando sul mercato dispositivi capaci di mantenere inalterata la qualità del suono a prezzi anche non troppo onerosi.
Non parliamo, però, soltanto di formato e strumenti di riproduzione: la musica si fa liquida allo stesso tempo con la perdita di potere delle istituzioni “forti” del suo settore, in primis il mondo della discografia, che arranca alla ricerca di altri fattori che ne possano garantire il sostentamento. Questa è, tra l’altro, una delle ragioni che hanno contribuito a determinare un cambiamento epocale nella musica stessa, gradualmente trasformata in oggetto commerciale e poi in bene immateriale; in altre parole non più un prodotto esclusivamente nelle mani della discografia, ma un servizio a cui si può accedere attraverso molti canali.
Nel nostro quotidiano siamo immersi in un vortice digitale che ci porta a cambiare le nostre abitudini, adeguandoci alle novità digitali. In tempi brevissimi tutto diventa obsoleto: non esiste il tempo ma è di fondamentale importanza restare sempre al passo coi tempi.
Definire uno scenario a lungo termine sarebbe molto difficile, ma con certezza possiamo dire che il futuro della musica e della sua riproduzione e commercializzazione sarà legato sempre più ai canali di distribuzione digitali o forme di consumo in abbonamento, così com’è ovvio che tale situazione comporterà notevoli trasformazioni della natura stessa della musica oltre che del consumo che si fa di essa. Come evidenziato, infatti, da Bonanomi e Zonin:
La proprietà del bene resta nelle mani del venditore, che affitta e noleggia a fronte di canone o tassa di iscrizione (esattamente la stessa cosa che accade per i beni in leasing). Quindi non si parla più di venditori e compratori, bensì di fornitori e utenti; non si punta al singolo scambio di beni ma a una relazione commerciale duratura.
Ne sono un esempio i servizi come Spotify e Deezer, che permettono la riproduzione di brani musicali anche senza alcun abbonamento (seppur con limitazioni e pubblicità). E’ cosi che la musica non è più un bene che possiamo acquistare, ma qualcosa di immateriale che è sempre accessibile e riproducibile ovunque.
Letture consigliate:
– Come funziona la musica, David Byrne, Bompiani 2013
– Musica liquida. Spotify, Deezer e la canzone nell’era dello streaming, Bonamoni, Zonin, Informant 2014