Da emergenza a normalità: negli ultimi anni, la didattica ibrida è passata dall’essere una soluzione temporanea a un formato sempre più presente nella vita accademica. Ma cosa ne pensano davvero gli studenti dell’Università di Siena?
Abbiamo raccolto voci da diverse facoltà, e il quadro che emerge è ricco di sfumature, entusiasmi e dubbi. Per alcuni, la flessibilità dell’online è diventata indispensabile: “Lavoro part-time e senza le lezioni registrate non potrei seguire,” ci racconta Marta, studentessa di Scienze politiche. Per altri, invece, l’assenza del contatto umano è un limite: “Studiare in aula mi motiva di più. Online mi sento spesso disconnesso, anche mentalmente,” dice Luca, iscritto a Lettere.
La modalità mista, che alterna lezioni in presenza a contenuti digitali, sembra essere il compromesso più apprezzato. “Mi piace poter rivedere i passaggi più complessi, ma anche poter fare domande dal vivo,” spiega Giulia, studentessa di Biotecnologie.
Tuttavia, la gestione tecnica non è sempre all’altezza. Connessioni instabili, audio scadente e piattaforme non intuitive possono compromettere l’efficacia dell’apprendimento. Inoltre, alcuni docenti sembrano faticare ad adattare i contenuti al doppio formato, lasciando gli studenti online in una posizione marginale.
Emerge un punto chiave: la didattica ibrida non è solo una questione tecnologica, ma anche pedagogica. Richiede una riprogettazione dell’insegnamento, una formazione specifica dei docenti e un ascolto attivo delle esigenze degli studenti.
Il futuro dell’università sarà probabilmente sempre più ibrido. Ma perché funzioni davvero, serve una visione chiara: non un semplice “aggiustamento”, ma un cambiamento culturale che metta al centro l’esperienza dello studente.
La domanda finale resta aperta: vogliamo un’università che si adatti solo per necessità o che innovi per scelta?