Sono passate due settimane dall’episodio finale di Games of Thrones e ancora non riesco a venire a patti con le diverse emozioni che si agitano dentro di me.
Ho iniziato a guardare questa serie relativamente tardi: era il settembre 2015, di ritorno da un estate a Dubrovnik dove mi sono ritrovata circondata da gadget e possibili escursioni turistiche a tema, ho deciso di recuperare questa serie di cui tutti parlavano ma nei confronti della quale ero rimasta assolutamente estranea. Inutile dire che me ne sono innamorata. Non rientra assolutamente nel mio genere, non ho mai letto i libri ne tantomeno mi posso definire una fan accanita però in questi, per me quattro anni, mi sono appassionata e ho sempre aspettato con ansia l’uscita dei nuovi episodi.
Per questo ero assolutamente impaziente di guardare l’ultima stagione quella che avrebbe dovuto far quadrare il cerchio, rispondere alle tante domande rimaste incomplete e dare un senso a questi dieci anni. La realtà però si è dimostrata molto diversa.
Già la stagione 7 aveva mostrato alcuni problemi e incongruenze, con Martin ormai legato al ruolo di “consigliere”, poiché i suoi libri si fermano alla fine della quinta serie, gli sceneggiatori Benioff e Weiss hanno avuto campo libero sul destino della storia e dei personaggi, eccezion fatta per colui che avrebbe dovuto sedersi sull’ambito trono, una cosa del tipo: il finale deve essere questo ma per arrivarci si può percorrere qualsiasi strada.
E il problema, personalmente, sta proprio qui: la libertà assoluta nello scrivere la storia sembra non aver giovato a nessuno.
La stagione finale è tecnicamente superba, la grande battaglia di Winterfell, la distruzione di Approdo del Re e sopratutto l’ultimo episodio hanno messo nuovamente in luce la bravura di tutto il reparto tecnico della serie, dalla regia ai fotografi passando per scenografi e costumisti… una serie tecnicamente sopraffina con punte altissime (vi consiglio i documentari realizzati da HBO per spiegare il making it di ogni episodio).
Dal punto di vista dello storytelling invece il registro cambia completamente: è innegabile la fretta e la velocità con cui Benioff e Weiss hanno gestito il racconto e la chiusura delle molte storie aperte della serie; solo sei episodi per trattare tematiche che avrebbero richiesto almeno un’altra stagione e invece… invece tutto accade in fretta e male, le domande non trovano risposte anzi, aumentano, i dialoghi spariscono quasi del tutto così come i colpi di scena, lo spettatore non salta più sul divano ma già sa quello che sta per accadere perché a voler sorprendere a tutti i costi lo spettatore, nelle intenzioni dei due, si finisce solo per compiere scelte scontate.
La follia tipicamente Targaryen di Daenerys è certamente attesa ma il suo improvviso scoppio nel quinto episodio è un insulto per chiunque, non c’è stata preparazione per lo spettatore che non è stato aiutato nel comprendere il grande cambiamento della regina dei draghi ma è anzi stato spinto ad odiarla in fretta. Jon Snow e Tyrion vengono relegati a burattini, il primo non ha gioco contro il Night King e passa tutta la stagione a compiere scelte discutibili, appiattito da un amore per la lealtà che lo rende noioso, tranne nell’uccidere Daenerys; Tyrion ha una sorte simile, pochissimi dialoghi interessanti e tanti errori sciocchi assolutamente incomprensibili, l’astuzia del folletto è ormai un lontano ricordo. Sansa come un Bossi di altri tempi si prende il nord ed esce vincitrice, una delle poche, da questa stagione disseminata dai cadaveri dei molti personaggi distrutti nella loro natura; Arya uccide incomprensibilmente il Night King (di cui nessuno ci dice nulla, e ancora non ho superato questa decisione) e sembra quasi diventare l’eroina dello show senza mai mettere in atto nessuna delle tecniche imparate a Bravos, è diventata “senza volto” per quale motivo? (sul finale alla Cristoforo Colombo invece, preferisco sorvolare). Jaime e Cersei finiscono la loro avventura insieme, come era prevedibile, ma senza pathos e senza rispetto per la grandezza di entrambi, anche loro in mezzo compiono azioni senza senso.
Infine Bran lo spezzato diventa re. Il personaggio fino ad allora assolutamente inutile si siede sul trono di spade (metaforicamente, non esistendo più), e accetta il destino che già conosceva. Insomma la storia si conclude con un governo tecnico, uno di quelli che l’Italia conosce bene.
Ci sarebbe moltissimo da dire, anche su qualche bel momento da salvare, come l’investitura di Brienne a cavaliere o il suo scrivere la storia di Jaime… (Brienne e Sansa sono i due personaggi migliori di tutta la stagione, senza dubbio). Alla fine però quello che resta è un senso generale di ingiustizia e insoddisfazione. Games of Thrones è assolutamente una serie da vedere e consigliare ma la conclusione finale è un misto tra piccole imprevedibilità, scelte discutibili, incoerenza con quanto fatto precedentemente e superficialità che lasciano lo spettatore assolutamente insoddisfatto; chiudere una serie del genere in modo perfetto è complicato ma l’idea che si potesse fare meglio è difficile da contestare, sopratutto con tutto il grande materiale a disposizione.
Non ho dubbi sul fatto che a molti la serie sarà piaciuta, questa è la mia opinione, devo dire che però vi invidio: la sensazione di essere stata “fregata” è ancora molto forte, il finale resta debole e poco convincente; però non smetterò mai di consigliare questo show ad amici ancora lontani da questo mondo perché nonostante tutto Games of Thrones resterà nel tempo uno dei maggiori prodotti televisivi mai offerti.
Chiara Bertoldo