Tirocini o lavoro gratuito? Parliamo di stage non retribuiti nell'università

Negli ultimi anni, l'esperienza dello stage è diventata parte integrante del percorso universitario. Inserita nei piani di studio come “formazione pratica”, dovrebbe rappresentare un ponte tra mondo accademico e lavoro. Ma quando non è previsto alcun rimborso, né un riconoscimento reale, può davvero definirsi formativa?
All'Università di Siena, come in molte altre realtà italiane, sono numerosi gli studenti che svolgono tirocini curriculari non retribuiti presso enti pubblici, laboratori, studi professionali o aziende. Se da un lato queste esperienze possono offrire competenze utili, dall'altro sollevano interrogativi etici.
“Per tre mesi ho lavorato full-time in uno studio legale senza ricevere nemmeno il rimborso per i trasporti,” racconta Luca, studente di Giurisprudenza. “Mi è stato detto che è normale, che 'vale come esperienza'.”
Ma davvero l'esperienza giustifica la gratuità? Chi può permettersi di lavorare gratis? La risposta, purtroppo, è: non tutti. Il rischio è quello di creare un sistema che esclude chi non ha una rete familiare o economica di supporto, alimentando disuguaglianze già presenti nel mondo universitario.
Alcuni atenei, tra cui l'Unisi, hanno avviato percorsi di riflessione sul valore del lavoro studentesco, introducendo criteri minimi per i tirocini e sollecitando gli enti ospitanti a offrire almeno un rimborso spese. Ma molto resta da fare.
Serve un cambio di paradigma: lo stage deve essere un'occasione equa e sostenibile, non una forma mascherata di lavoro gratuito. Formare professionisti del futuro non può significare sfruttare il presente.
Gli studenti chiedono trasparenza, rispetto e dignità. E l'università ha il dovere di ascoltarli. Anche perché, in fondo, la qualità della formazione si misura anche da come tratta chi sta imparando.