Il film si apre mostrandoci dei giovani soldati inglesi circondati da volantini lanciati dal cielo con sopra scritto “arrendetevi, vi circondiamo”. Lo stato di calma apparente, quasi surreale si contrappone all’enorme minaccia che incombe sui soldati e questo dualismo è il vero leitmotiv di tutto il film. La guerra non è rappresentata come battaglia, ma come il male che permea l’intero scenario; non ci sono epiche battaglie, non ci sono soldati che con il loro coraggio portano alla vittoria del proprio paese come in altri film dello stesso genere. Qui la guerra la si sente ma non la si vede, è parte del film pur senza palesarsi. Lo stato d’animo degli uomini, il comportamento del pilota abbattuto (un bravissimo Cillian Murphy), le parole cariche di preoccupazione che si scambiano gli ufficiali, tutto fa trasparire le enormi
sofferenze patite.
L’altra grande rivoluzione del film è la mancanza di un protagonista assoluto o di una vera e propria trama. La storia si svolge in tre posti diversi e con diverso andamento temporale. Nolan non smentisce la sua passione per il giocare con il tempo, distorcerlo e confondere così lo spettatore, come già fatto in “Memento” o “Inception”, giusto per citarne alcuni. Ci troviamo di fronte a 3 storie completamente diverse che si intrecciano e che hanno come comun denominatore la tragedia della guerra. Queste finiscono con il confluire l’una nell’altra, azzerando di fatto lo spazio temporale che inizialmente le divideva.
Grande pregio del film è la capacità di Nolan di far immedesimare lo spettatore nei soldati, a fargli provare le stesse emozioni: angoscia, rabbia, frustrazione, tristezza. Ci si sente soffocati dal trovarsi in una situazione apparentemente senza via di fuga e i continui tentativi messi in atto dai soldati falliscono, riportandoli nuovamente alla situazione iniziale. Il film si sviluppa quasi come un’enorme corsa contro il tempo che non fa altro che alimentare la nostra sensazione di angoscia, ben sottolineata dalla situazione del pilota Farrier, interpretato da un magistrale Tom Hardy, il quale per un guasto all’indicatore del carburante è costretto a una sorta di conto alla rovescia basato sull’indicatore dell’amico.
Meravigliose le musiche del mai deludente Hans Zimmer e la scenografia, che nulla ha da invidiare a qualsiasi altro film di guerra, raggiungendo l’apice nelle battaglie aeree, vero fiore all’occhiello di questa.
Da sottolineare inoltre come per la maggior parte del film non si vada incontro ai banali patriottismi tipici dei war movie americani, ma al contrario si vogliano trasmettere le sensazioni più pure provate da chi era al fronte: paura e istinto di sopravvivenza muovono le gesta dei personaggi e non falsi eroismi.
Nota stonata in questo senso il padre e il figlio sulla barca; le loro figure appaiono poco caratterizzate e soprattutto poco umane a differenza di tutti gli altri personaggi. Un padre che sembra il Gautama, nonostante la situazione di estremo pericolo e la perdita di un figlio nella guerra, e un figlio che passa rapidamente dall’essere ragazzo acerbo a degno discepolo del padre.
Non è certo un film per chi ama i grandi dialoghi, visto che sono davvero poche le parole proferite nell’arco dei 106’ di pellicola, ma anche questo è un punto a favore del tentativo del regista di dare un’impronta realista alla sua opera. Il finale non è certo tra i migliori partoriti dal regista nato a Londra, che in passato ci aveva abituato ad epiche conclusioni. Discutibile anche la scelta di Harry Styles, per la cui parte sarebbe stato preferibile un artista semisconosciuto ma certo più capace come Fionn Whitehead.
Nel complesso un bellissimo film, assolutamente da vedere, soprattutto per gli amanti del genere, ma che nonostante le tante lodi ricevute, non si va a porre tra i grandi capolavori di Nolan.