Sabato 1 Giugno scorso, a Perugia e in altre città italiane, è stata una data “pride”: basta dare un’occhiata sul web per rendersi conto che tali eventi saranno in effetti una costante nella vita civica di molte città italiane lungo tutta la stagione estiva- ed oltre. Il corteo, riunitosi nel primo pomeriggio presso Piazza Grimania, ha marciato per più di due ore accompagnato da musica, cori e colori sgargianti.
La città si è tinta infatti dei colori dell’arcobaleno, o della pace -che siano forse la stessa cosa?- a simboleggiare le molteplici sfaccettature dell’animo umano. Il rispetto, l’integrazione e la comunione di un destino diverso ma parallelo i principi che aleggiavano nel corteo, che ha marciato dal primo pomeriggio per arrestarsi qualche ora dopo nei Giardini Carducci, attraversando le strade e le piazze più frequentate della città e innalzando canti inneggianti alla libertà, all’anticonformismo, al rispetto verso l’altro che non ha paura di essere riconosciuto per com’è. Alla fine della parata sono intervenuti i rappresentanti dell’associazione Omphalos, punto di riferimento dal 1992 per la comunità LGBT a Perugia e in tutta l’Umbria, ma non solo: a prendere la parola anche la comunità delle famiglie arcobaleno, pronte a ricordare l’affetto e l’amore sintetizzino l’essenziale di ciò che a un figlio non dovrebbe essere negato dai propri genitori.
I cenni alla situazione politica contemporanea, locale e non solo, sono stati svariati: la manifestazione, posta proprio all’indomani delle elezioni europee, ha teso ad esaltare ed esplicitare il bisogno di rottura ed evasione percepito dai più di 70.000 partecipanti rispetto al clima istituzionale corrente e forse anche rispetto al primo cittadino Andrea Romizi, recentemente rieletto sindaco e in quota centrodestra.
A chiudere la parata anche un intervento di magnifiche drag queen, che hanno rievocato l’atto di nascita del proprio movimento, unanimemente collocato nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 in un pub al Greenwich Village di New York, lo “Stonewall Inn”, frequentato abitualmente da gay, trans, lesbiche e drag queen. Quella notte, quando la polizia fece irruzione nel locale, la clientela del bar ebbe finalmente la forza di ribellarsi alle forze dell’ordine, con particolare riferimento ad una drag che, eroicamente, riuscì a liberarsi dalle manette lanciando uno dei suoi tacchi a spillo! Proprio questo episodio del resto è circondato dall’aura di leggenda che vide la nascita dei cosiddetti moti di Stonewall, e quella scarpa lanciata ai poliziotti è diventata simbolo della resistenza di uno spirito vivo che nonostante la costrizione e la repressione non rinuncia a bruciare.
Rievocare quella simbolica notte durante la marcia del pride ha significato ricordare a tutti il potere che ognuno di noi possiede di ribellarsi alle imposizioni della società, dando il proprio seppur piccolo contributo affinché episodi come i moti di Stonewall non restino soltanto una lontana memoria ma si trasformino in gesti di resistenza quotidiana per essere nella propria vita ciò che si è, e fare di essa quanto riteniamo più giusto.
“Diritti uguali per tutti non vuol dire meno diritti per te. Non è una torta!” era uno dei tanti slogan che si elevavano al di sopra della folla, come il grido muto ma coloratissimo di una moltitudine che non chiede più il permesso di essere ciò che è e sa di ricoprire un ruolo unco anche in una società tanto omologatrice. Gli interrogativi che percorrevano il corteo perugino dello scorso sabato sono in fondo gli stessi di ogni tempo, sintetizzabili in una domanda unica ed eterna, ovvero che funzione si possa rivestire in una società di cui non si condividono i valori dominanti, le idee politiche egemoni, nei cui capi di governo non ci si riconosce. In questi momenti, dando voce a simili pensieri, dovremmo ricordarci del tacco a spillo lanciato in quel pub newyorkese che dallo strumento per liberarsi da una condizione di prigionia contingente è diventato il simbolo di una protesta, dell’opposizione perenne ad un sistema che non ascolta e non integra, ma emargina e annienta.
A chiudere definitivamente la manifestazione sono intervenuti i genitori di un ragazzo omossessuale, incapaci di trattenere l’emozione di condividere la propria esperienza genitoriale con una platea di ascoltatori così ampia.
Il movimento LGBT non rappresenta solo la comunità gay, lesbica, bisex e trans ma accoglie chiunque desideri dare il proprio contributo e il proprio sostegno, ed è inoltre a difesa di tutte quelle porzioni di società che soffrono la discriminazione e l’emarginazione. Gli incontri come questo sono necessari al benessere civile delle comunità, a far sì che non si arresti nell’uomo la naturale tensione verso il futuro, che non si spenga la speranza non di vivere in un mondo utopico esente dal conflitto, ma in una società più giusta, e consapevole della propria eterogeneità.
Non resta che dire, a quando il prossimo pride senese?
– Chiara Nardoianni