20/10/2021
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    Eredità ed innovazione tra marmo e scalpello

    Quello che si è soliti pensare circa il fenomeno “Medioevo” è di trovarsi di fronte ad una grande bolla evanescente della durata di cinque secoli, unicamente pervasa da un afflato di arte religiosa dalla parvenza diafana, dalla spigolosità tagliente, dall’impostazione tetragona.

    Eppure, è proprio questo arco temporale che assume le sembianze di spazio di “incubazione” di tutti quei presupposti che avrebbero reso tale il fascino dell’arte moderna.

    Le due forze gravitazionali dell’arte medievale sono il Romanico ed il Gotico: uno, espressione del dialogo tra uomo e Dio, manifestantesi tramite il saldo radicamento al terreno delle possenti strutture architettoniche, l’altro, eco della tendenza estatica dell’uomo verso Dio, comunicantesi attraverso la smaterializzazione della costruzione e la sostituzione della pietra col vetro. Forze nascenti tra l’XI ed il XIII secolo, lungo le vie dei pellegrini e nelle sfere di influenza dei principali centri religiosi, queste decisive coordinate artistiche si riverberano con diverse modalità nel terreno italiano. Qui, difficilmente, le rarefazioni gotiche avrebbero sradicato le robuste fondamenta romaniche.

    Il perfetto incontro tra solidità materica e sensibilità decorativa è rappresentato dal cantiere del Duomo di Siena; qui, si assiste ad un polifonico lavoro sovrainteso dalle direttive di un padre e di suo figlio: Nicola e Giovanni Pisano.

    Nicola “de Apulia” , pugliese di origine e “Pisano” di acquisizione,  debutta nel battistero del Duomo di Pisa, nel 1260, con una rivoluzione del concetto di pulpito fino a quel momento vigente, mediante la miniaturizzazione del macrocosmo architettonico filogotico; contemporaneamente, lo troviamo impegnato a Siena, per il completamento di qualche apporto decorativo del quasi ultimato Duomo, per poi vederlo stabilmente qui, tra il 1266 ed il 1268, con Arnolfo di Cambio e col figlio Giovanni, nella realizzazione del pulpito del Duomo.

    Uno degli episodi più tangibili di rivalutazione dell’epoca medievale si è verificato poi con i lavori di restauro della cupola del Duomo senese, avvenuti nel 1981. Qui, le 104 teste di mensola che adornano la sottocornice del tamburo interno costituiscono l’ENCICLOPEDIA di un immaginario collettivo, attraverso cui viene veicolato uno spiccato interesse per il realismo oggettivo e per il piacere antropologico dell’esplorazione sentimentale. Appaiono, così, figurazioni di animali esotici e tradizionali che, fortemente dettagliati nei rispettivi tratti connotativi, si divincolano – nello spazio angusto a disposizione – dal consueto criterio bidimensionale, per assumere, con una sorprendente elasticità corporea, pose agili e disinvolte; ma si scorge, soprattutto, una vasta gamma di volti umani, dalle sopracciglia aggrottate, dalle labbra carnose e leggermente socchiuse, dal setto nasale lievemente disallineato, che lasciano fuoriuscire, da profonde orbite, bulbi oculari stranianti o lasciano intravedere, tra le rughe espressive del volto, sorrisi smaccatamente grotteschi, quasi satireschi.

    Se si sposta leggermente lo sguardo, verso la trifora a nord-ovest, potranno essere riconosciuti gli unici capitelli figurati della costruzione: quattro grandi teste umane a grandezza naturale svettano sulle profilature architettoniche e, colte in stato di stupore, attuano uno straordinario processo di sintesi e condensazione dell’identità del popolo umano.

    È in Nicola Pisano che si deve riconoscere l’elaborazione di questo nuovo codice linguistico e sarà in Giovanni, suo allievo, che si dovrà intravederne l’acquisizione, portata, poi, ad estreme conseguenze.

    Dopo la collaborazione col padre, negli anni ottanta del 1200, troviamo Giovanni nelle vesti di scultore ed architetto della facciata del Duomo di Siena, cantiere che sarebbe stato da lui ben presto abbandonato, a causa di pungenti attriti con i committenti. Il suo perfezionamento artistico sarà raggiunto nella sperimentazione della ricca produzione lignea, nonché nella realizzazione del pulpito per la chiesa di Sant’Andrea a Pistoia (1301) e di quello per il Duomo di Pisa (1303-1311).

    Ma, tornando alla facciata del Duomo senese, la parte inferiore di essa parla da sé: tutto procede secondo una dinamizzazione centrifuga che non necessita della collocazione di apporti scultorei entro portali e strombature, come era, invece, consueto, nella tradizione gotica d’oltralpe; le sculture sono ora destinate al registro superiore. Ed improvvisamente, ci si rende conto, dinnanzi al lavoro di Giovanni, di aver stipulato un patto di sospensione dell’incredulità: si è spettatori davanti ad un palcoscenico sul quale le sculture,dopo aver abilmente reciso ogni vincolo con la trappola materica, recitano, diventando forza viva che testimonia, sussurrando, l’acutizzazione sentimentalmente drammatica di quel registro linguistico di partenza, già di per sé stesso innovativo.

     

    Gaia Colasanti

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